Alla fine dell'anno liturgico, dopo il "temuto" riferimento alla fine del mondo, la Chiesa ci ha offerto, per alcune domeniche, presente nel Vangelo, una similitudine variegata, concreta, riguardante il Paradiso. Come a ricordarci che la fine dell'esistenza terrena, non è una catastrofe, così come il linguaggio apocalittico potrebbe indurci a credere, ma l'inizio di un'esperienza
premiante la fede e l'obbedienza al Vangelo dei credenti e di coloro che si impegnano in una relazione intensa e coerente con l'Assoluto. Gesù fa la proposta della Salvezza a tutto il mondo, con agevolazione facilitante per i cristiani che seguono la proposta evangelica. La Parabola di questa domenica presenta Dio, come un Signore che, dovendosi allontanare dai suoi
possedimenti, affida parte dei suoi averi a tre suoi servi. I primi due raddoppiano i talenti ricevuti, meritando dal padrone, al suo ritorno, il Bene infinito, mentre chi pigro e pauroso ha nascosto il talento offertogli in dotazione, verrà depauperato anche di quanto era stato a lui affidato. Tutti noi, pellegrini sulla terra, abbiamo ricevuto dal Signore molti beni personali e comunitari
(intelligenza, fisicità, volontà... ) da far fruttificare non solo a vantaggio personale, ma anche comunitario... Se l'egoismo ci rende avari, poco aperti ad arricchirci ulteriormente, trafficando i doni umani e spirituali, ricevuti dal Creatore, all'inizio della nostra esistenza, perderemo il Bene assoluto (vita eterna), non solo, ma depotenzieremo anche il valore dei talenti personali, ricevuti
da Dio, alla nostra nascita.